Pulcinella patrimonio di Napoli e dell’unamità

Pulcinella non rappresenta la caricatura di un uomo, ma dell’uomo, per questo è una maschera universale». Parola di Eduardo. E per questo ha tutte le carte in regola per diventare un patrimonio dell’umanità. Ed è quel che tutti, a partire da questo giornale, auspicano possa accadere presto. Intanto il primo passo è stato compiuto da una rete di soggetti capitanati dal Comune di Acerra, luogo di nascita del pulcino bianco e nero, che hanno candidato il loro illustre concittadino all’iscrizione nel catalogo Ipic appena inaugurato dalla Regione Campania. Si tratta di un Inventario del Patrimonio culturale immateriale, affidato alla direttrice generale della struttura Cultura e Turismo Rosanna Romano, coadiuvata da una commissione di esperti del calibro della sociologa Enrica Amaturo e dell’antropologo Marino Niola. Un’equipe che si è trovata ad analizzare qualche centinaio di domande, tutte diversissime fra loro, a riprova della straordinaria ricchezza di tradizioni ancora vive nel nostro territorio. I primi 49 ammessi a questo catalogo delle meraviglie, pubblicato sul Bure della Regione il 7 ottobre, contempla capolavori della cultura campana come la Cantata dei Pastori, la lavorazione del corallo di Torre del Greco, il culto di San Gennaro, la Zeza di Mercogliano, la canzone classica napoletana, il pellegrinaggio alla Madonna dell’Arco, la processione pasquale di Procida, i riti settennali di Guardia Sanframondi. Cui si aggiungono i carri artistici di grano di Flumeri, Fontanarosa, Mirabella Eclano, San Marco dei Cavoti e Villanova del Battista, che già da qualche anno si sono consorziati per intraprendere tutti insieme la corsa per il riconoscimento Unesco. E tra poco anche la celebre maschera di Pulcinella verrà inserita tra i beni che meritano di essere tutelati, valorizzati e fatti conoscere al mondo.

A dire il vero Pulcinella non ha bisogno di presentazioni. Perché la sua fama è già planetaria. Sono secoli che la popolare maschera napoletana è diventata il simbolo della nostra città e del suo modo particolarissimo di incarnare la condizione umana. Facendo ridere attraverso il pianto e piangere attraverso il riso. A partire dal 1609 quando il comico Silvio Fiorillo porta per la prima volta sulla scena questo personaggio nella commedia La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Pulcinella. All’epoca aveva baffi e barba. Al posto del cappello a coppolone portava un copricapo con due corni da Joker. A dargli le sembianze attuali, invece, è stato Antonio Petito, un grandissimo attore e drammaturgo partenopeo dell’Ottocento. A lui si deve l’inconfondibile maschera nera, con il naso adunco e bitorzoluto. Petito si identificò a tal punto con il suo personaggio, che la sera del 24 maggio 1876 morì in scena al Teatro San Carlino di Napoli per un attacco cardiaco, mentre recitava uno stralunato monologo pulcinellesco. La sua fine tragica ha assunto il valore di un autentico sacrificio artistico, che ha ispirato attori e registi, come Ettore Giannini che nel 1954 dedica all’episodio una memorabile scena di Carosello Napoletano.

In realtà Pulcinella partito dal Golfo ha viralizzato la scena mondiale, dal teatro alle arti visive, dal cinema alla musica. Il compositore russo Igor Stravinskij lo ha immortalato nel suo celebre balletto Pulchinella. Il pittore veneziano Giandomenico Tiepolo lo ha dipinto sulle volte dei palazzi nobiliari al posto di Venere e Giove. Scrittori come Wolfgang Goethe e Ernest Theodor A. Hoffmann ne hanno fatto un emblema del carattere italiano, furbo e sciocco, imbroglione e altruista, razionale e sentimentale, piagnone e cinico. Tanto da entrare nei modi di dire di tutto il mondo. Dal nostro “segreto di Pulcinella”, al francese “tenere Pulcinella nel cassetto” per indicare qualcosa da nascondere.

Ma di fatto, per chi è cresciuto con le guarattelle nell’anima, Pulcinella rimane il paradigma dell’arte rappresentativa e al tempo stesso una persona di famiglia. I suoi discorsi onirici e triviali, surreali e popolari, assurdi e saggi sono al tempo stesso vita quotidiana e filosofia di strada. Pulcinella anticipa gli sproloqui di Totò, i suoi qui prò quo, che stravolgono logica e grammatica, come «ogni limite ha una pazienza». E, come diceva Domenico Rea, anticipa addirittura il monologo interiore di James Joyce. Perché nella sua acrobazia linguistica e anagrammatica la grande maschera napoletana destruttura il passato e il presente. Ed azzera il linguaggio. Mostrando il vuoto su cui riposano le nostre certezze. L’abisso su cui si affaccia la nostra razionalità. In questo senso Pulcinella non è un popolano analfabeta. Ma un dadaista dell’esistenza. Il capocomico di un balletto – diceva Rea – sull’orifizio dell’inferno. O piuttosto il nume tutelare di quel paradiso abitato da diavoli che è Napoli.